Raccontare Valsinni

Raccontare Valsinni

viaggio attraverso le storie di un tempo per conoscere Valsinni (MT)

di Antonella Greco

Raccontare un paese tramite la voce dei suoi abitanti. E’ quello che è successo circa 60 anni fa, in un piccolo paese del mezzogiorno italiano.

Ci troviamo nella Lucania degli anni 50, precisamente a Valsinni, borgo contadino in provincia di Matera.

I protagonisti di questo racconto sono gli alunni di una quinta elementare. Tramite le loro candide testimonianze scopriamo una realtà cittadina pura, incontaminata, ricca di valori e usanze perse nel tempo, e soprattutto una realtà lontana dai ricami di giornalisti e scrittori impertinenti.

In questo opuscoletto notiamo come ogni singolo allievo si trasforma in narratore per un giorno, rilasciando una testimonianza verace e priva di edulcoranti linguistici: ogni bambino ha il compito di raccontare una storia relativa al loro borgo natio.

Si parte dicendo che l’originario nome del paese era “Favale” (secondo Benedetto Croce deriverebbe dal latino favalis, ovvero ‘terra ricca di fave’; secondo altre versioni deriva dal greco e assume il significato di ‘terra ricca di sorgenti’); in seguito il nome divenne Valsinni, nel 1879, sotto il regio decreto di Vittorio Emanuele II.

Preziosa è la descrizione del gioiello paesano, il suggestivo castello, un tempo dimora dei signori del feudo. In particolare si ricorda il barone Gian Michele Morra, e ancor di più sua figlia, la poetessa Isabella Morra.

Figura emblematica e distintiva del paese, la giovane poetessa petrarchista venne consegnata tristemente alla storia a causa del suo omicidio. In una società maschilista e patriarcale come quella della sua epoca, (seconda metà del ‘500 circa), ella si macchiò del peccato di amare un uomo.

I suoi sette fratelli non perdonarono questo oltraggio e la uccisero insieme al suo amante, e con lei uccisero il lustro della sua poesia. Indimenticato però è il suo lascito, le sue rime, la sua poetica…tanto che Benedetto Croce si occupa della pubblicazione postuma del suo canzoniere.

Chiusa la parentesi storica, segue una descrizione geografica del paesello; e scopriamo come esso sia immerso tra monti e colline, e in particolare come sia circondato da uno dei quattro gioielli idrici della Basilicata: il fiume Sinni.

(non a caso, il nome evoca il tributo al celebre corso d’acqua, n.d.r.)

Ne consegue la descrizione del tipo di sostentamento, che negli anni 50 consisteva principalmente in agricoltura e allevamento. Pochi sono i servizi offerti dal settore terziario, buoni sono i collegamenti stradali, ma scarsi sono i servizi ai cittadini, come il comando dei carabinieri ancora inesistente, e l’assenza di un veterinario.

Si finisce poi per toccare argomenti più importanti e sentiti: religiosità e tradizioni. Fondamentale è il culto di San Fabiano (santo patrono del borghetto), numerose sono le  chiese presenti nella comunità, importante è anche la festa della Madonna del Carmine.

Altrettanto numerose sono le leggende e le tradizioni. In primis troviamo i miracoli di San Fabiano (Miracolo dei Grilli, Miracolo della Frana, Miracolo dei Varaturari). Si passa poi alle tradizioni popolari, come aneddoti sulle attività da compiere al momento di una nascita, di un battesimo, un matrimonio e persino la morte.

Ultimo ma non meno importante, è l’elenco delle specialità culinarie quali: ‘frzzul’ e ‘rashcatell’ (varietà di pasta fatta in casa), ‘falagon’ (calzoni ripieni), ‘guanti’, ‘pasticciotti’, ‘crispi’, ‘sangunacc’, ‘culumbr’ e ‘fellarusc’ (dolci tipici).

In ogni singolo rigo si può trarre il candore e la veridicità di una voce infantile. Tutto ciò invoglia il lettore a recarsi sul posto, ad assaporare la realtà autentica e immacolata della civiltà contadina.

E con questa breve introduzione vi invito alla lettura del documento originale sotto allegato.

Buon proseguimento!

 

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